"Le Voci della Ludopatia": Storie vere per illuminare il Gioco d'Azzardo Patologico

Giocoresponsabile.info lancia una potente iniziativa per combattere la ludopatia, offrendo un palcoscenico alle voci di chi ha affrontato e superato la dipendenza.

Quante volte una partita, una scommessa, un semplice “gioco” si trasforma in qualcosa di ben più oscuro? Spesso, la dipendenza da gioco d’azzardo inizia in sordina, quasi per caso, per noia o come semplice distrazione, per poi degenerare in una spirale distruttiva. 

Abbiamo tra le mani testimonianze potenti, capaci di dare speranza, lanciare un monito e far riflettere su esiti altrimenti invisibili a chi si avvicina al mondo del gioco d’azzardo. Queste storie offrono uno sguardo crudo e autentico sulle conseguenze devastanti della ludopatia, spesso sottovalutate o completamente ignorate.

Perchè lo facciamo

L’obiettivo di questa campagna è duplice: da un lato, sensibilizzare l’opinione pubblica sulla gravità della dipendenza da gioco d’azzardo, evidenziando gli impatti devastanti a livello personale, familiare e sociale. Dall’altro, incoraggiare altre persone a condividere la propria esperienza, anche in forma anonima. Riteniamo che il racconto di chi ha vissuto questa battaglia possa essere un faro per chi è ancora intrappolato, un grido d’aiuto per chi non sa come uscirne e un monito per chi è agli inizi.

“Le Voci della Ludopatia” presenterà inizialmente tre storie diverse tra loro. Saranno racconti di persone con background, età, esperienze di vita, realtà e status sociale completamente differenti, ma tutte unite da un filo sottile ma incredibilmente forte: il gioco. O forse, il gioco è solo la manifestazione finale di un malessere più profondo, un sintomo di una sofferenza comune che si traduce in isolamento e autodistruzione. Raccogliere queste testimonianze è fondamentale anche per comprendere le radici di questo fenomeno e il perché si arrivi a forme così estreme di auto-sabotaggio.

Giovanna – 46 anni

Non so neanche quando ho cominciato davvero. Forse tutto è partito da quel gioco sul computer di mio figlio, uno di quei puzzle colorati che sembrano innocui. All’inizio mezz’ora al giorno, giusto per staccare. Poi un’ora. Poi due. E ogni volta, mentre giocavo, non c’era più niente: niente bollette da pagare, niente chiamate che non arrivavano per lavorare, niente ex marito con cui discutere. Solo io, il suono dei blocchi che scoppiano e quei livelli da superare.

Ma poi chiudevo il computer e tutto tornava. Peggio di prima, a volte. E mi sembrava di non respirare.

la storia di ludopatia di Giovanna

Il bar sotto casa aveva le slot. Luci, suoni, promesse mute di qualcosa di meglio. E io ci sono cascata. Pensavo, magari vinco, magari risolvo tutto. Magari compro quelle scarpe a mio figlio senza contare le monete. Ma non ho mai vinto davvero. Ogni euro che entrava spariva in un attimo. E io con lui.

Non saprei dire quanto ci sono rimasta dentro. Abbastanza da mentire a mio figlio, abbastanza da vergognarmi di guardarmi allo specchio.

Poi un giorno mi sono vista riflessa nel vetro della slot: gli occhi vuoti, le spalle curve. E ho capito che stavo perdendo tutto, anche me stessa.

Non è finita. L’ansia c’è ancora. I problemi pure. Ora non gioco più. Da sola non penso ce l’avrei fatta, ma chiedere aiuto è stata la scelta migliore che potessi fare per me stessa. Adesso, quando la tentazione torna, apro il cassetto dove tengo la foto di mio figlio da piccolo. La guardo. Respiro. E passo oltre.

Mattia – 24 anni

A scuola non ci andavo pazzo. I prof mi dicevano che ero intelligente, ma svogliato. Forse era vero. A parte la matematica: quella sì, mi piaceva. Le probabilità, i calcoli… lì mi sentivo forte.

Poi è arrivato il poker online. All’inizio per curiosità, poi per soldi. E i soldi arrivavano. Veloci. Facili. L’adrenalina quando girano le carte, il brivido di una mano rischiosa che ti porta a casa cento euro. Poi duecento. Poi mille. Mi sembrava di aver trovato il mio modo per uscire dal fango. Niente lavoretti di merxx, niente genitori che ti chiedono cosa vuoi fare della tua vita. Io giocavo. E vincevo.

la storia di ludopatia di Mattia

Poi mi hanno scritto. Un gruppo. Mi offrivano di giocare per loro: mi davano il capitale, io giocavo, prendevo una percentuale. Figo, no? Pagato per fare quello che già facevo. Era come dire a un pesce: “Nuota e ti diamo da mangiare”.

Solo che poi sono arrivati i rovesci. Perdevo. E non erano più soldi miei. Erano loro. E loro volevano risultati. Pressioni, controlli, minacce velate. Una spirale. Per recuperare perdevo ancora di più. La testa andava in fumo, il cuore batteva a mille, ma non per l’adrenalina. Per la paura.

Mi sono tirato fuori. A fatica. Ho perso soldi, amici, fiducia. Ma adesso ho capito: il gioco non sei mai tu a controllarlo. Sei solo una pedina che pensa di essere il re.

E io non voglio più essere una pedina.

Alberto – 32 anni

Era per divertirsi, dai. All’inizio era solo questo. Una birra con gli amici, una schedina da cinque euro sulla Serie A. Chi segnava per primo, chi prendeva il giallo. Una roba tra di noi, per ridere.

Poi però qualcosa è cambiato. Senza la scommessa, la partita non valeva più niente. Guardarla così, “pulita”, era come bere una birra calda: insipida. Io volevo sentirmi vivo. Volevo il brivido.

Gli altri hanno smesso. Dicevano: “Non ne vale la pena, si perde sempre.” Ma io no. Io rincorrevo la vincita giusta, quella che rimetteva tutto in pari.

E più perdevo, più scommettevo. La domenica non era più calcio. Era ossessione.

Poi un giorno si è avvicinato uno. Uno che sapeva tutto. Troppo. Mi ha offerto una cifra per “pilotare” una partita del squadra dove giocavo. Io in campo, io che potevo farlo. Bastava sbagliare un passaggio, perdere un contrasto. Facile. Sporco, ma facile.

la storia di ludopatia di Alberto

Ci ho pensato? Sì. Per tre secondi. Poi ho detto di sì.

Non è durata molto. In un paese piccolo le voci girano, e le telecamere vedono più di quanto immagini. Sono stato beccato. Squalifica a vita. Processo. Multa. Fine.

Il calcio era tutto per me. Ed è proprio quello che ho distrutto. Con le mie mani.

Adesso vivo altrove. Nessuno mi riconosce, e va bene così. Ma ogni volta che sento l’inno allo stadio in TV, cambio canale. Non riesco a guardare. Non più.

Le “Voci della Ludopatia” non finiscono qui

Ci sono tante altre storie come queste. Alcune si chiudono con una risalita faticosa ma possibile, altre restano sospese, interrotte da una caduta senza appigli. Perché il gioco d’azzardo, quando smette di essere un passatempo e diventa dipendenza, non guarda in faccia nessuno: colpisce giovani e adulti, uomini e donne, professionisti e studenti. Ognuno ha un percorso diverso, ma il filo che li lega è sempre lo stesso: la solitudine, il silenzio, l’illusione di poter controllare qualcosa che, alla fine, controlla te.

Aiutaci a diffondere le queste e altre storie

Condividere queste storie è fondamentale. Per chi ci è passato, perché raccontarsi significa iniziare a liberarsi dal peso della vergogna. Per chi ascolta, perché può riconoscersi, capire, forse chiedere aiuto prima che sia troppo tardi. Rompere il silenzio non basta a risolvere tutto, ma è un primo passo. E ogni primo passo, per quanto piccolo, è sempre un inizio.

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Sensibilizziamo le persone riguardo il la dipendenza da gioco d’azzardo, fornendo consigli per affrontarlo.

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